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30 luglio 2003
Ho cominciato a scrivere che era quasi l'una e c'era silenzio. Avevo la finestra aperta e la tapparella alzata. Stavo a torso nudo che si stava meglio e sentivo l'aria sulla pelle. Oggi, infatti, starnutisco. Prodigio dell'età. M. direbbe che ho un gran fisico...di merda e probabilmente avrebbe ragione.
Comunque ho cominciato a scrivere all'una in quel silenzio lì.
E pensavo che ci sono ore della notte in cui il silenzio e l'aria forse sono proprio uguali dappertutto, identiche a Bologna come al mare.
E non era un brutto pensiero da fare, mentre ticchettavo sulla tastiera.
Poi alle tre tutto è finito. Come mettere un punto. Fine della frase.
E rileggendo mi è venuta una tristezza troppo lunga per poterle strappare la coda, troppo grossa per poterla tagliare a pezzi, troppo amara da mordere.
Non ho cura contro quella tristezza lì. Non so come fare quando arriva. Posso solo sentirla arrivare, aspettarla e combattere in silenzio per tutto il tempo che decide di passare con me.
Quando se ne è andata erano quasi le cinque, con il suo bel carico di lacrime spalmate sui secondi e sui minuti del suo passaggio.
E per un istante, piccolissimo e sottile, ho sperato che non sarebbe più tornata.
Poi è venuta mattina.
Questa.
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Sento l'odore della città non faccio niente, resto chiuso qua. Ecco un altro dei miei limiti. Io non sapevo dirti che solo a pensarti mi da i brividi anche a uno stronzo come me come me...
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29 luglio 2003
Il dolore alla schiena oggi è simile a quello che produrebbero i paletti delle tende di un gruppo di marine sbarcati in Iraq.
Mi manca solo che inizino a cercare Saddam in posti poco nobili.
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27 luglio 2003
Nel tentativo smodato di grattarmi la schiena mi sono strappato.
E così il weekend è ansdato davvero in gloria e così sia. Due Aulin e tutti i mali se ne vanno, tranne quelli che senti in posti diversi dai muscoli e dal corpo. Quelli che senti in quel punto di te stesso in cui sei quello che sei.
C’è un vetno fastidios che porta un minimo di fresco, ma che mi fa incazzare perché fa volare via foglie e appunti e tutto quello che ha un peso in feriore ai due chili.
E anche la luce in questi giorni diventa pesante, come pesante è leggere i giornali con le imprese di Castelli che come tutti gli ingegneri – e quindi come me – è specializzato nel creare problemi dove non ci sono.
Giornali con dodici figli che vogliono andare in frie e che invece di mettersi d’accordo preferiscono abbandonare la madre di 81 anni al caldo rischiando che muoia. O forse – capisco che sia pensare male – sperandolo.
E pesanti sono i miei pensieri, davvero troppo pensati anche per essere scritti qui dentro che è un posto totalmente mio, ma in cui ancora un po’ di pudore mi rimane.
Nella vita no, di pudore non ne ho. Non ne ho per dire quando qualcosa mi manca o qualcuno mi manca, per urlare quello che sono, come sono e quando lo sono. Per pensare, come ho fatto in macchina venerdì dopo aver firmato dal notaio la costituzione della mia società, che in fondo sono sempre il bambino che ero vent’anni fa e che sono solo aumentate le preoccupazioni, i problemi, il carico sulle spalle.
Alla fine è la vita che ci costringe a crescere, non sono gli ormoni che ti fanno tirare il cazzo o crescere le tette. Non sono i peli che ti crescono sul petto o che ti strappi dalle gambe. Non sono gli anni che passano e che ti fanno calare i capelli o che ti disegnano agli angoli degli occhi quelle rughe piccole che vengono quando uno sorride.
È la vita, porchissima troia. È la vita che ti grandina addosso casini e problemi. È la vita che ti illude, ti aiuta e poi ti abbatte con una mazza da baseball. È la vita che ti fa pensare con malinconia e momenti passati e che ti fa inseguire un sorriso, una mano, un profumo, sperando di vederli girare dalle tua parte.
E di vederli sorridere.
È la vita che fa tutto.
Noi siamo sempre gli stessi bambini di una volta.
Gli stessi che continuano a pensare ogni giorno che cosa faranno da grandi.
Anche adesso che grandi, la vita, li ha costretti a diventare.
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24 luglio 2003
La ragazza con la canotta a fiori si avvicina al tipo con un libro. Lui ha l’aria di uno che in libreria ci va solo a Natale o per fare un regalo a qualcuno di cui non gli frega niente. Questo libro mi ha cambiato la vita dice la ragazza con la canotta a fiori e gli mostra la copertina di Rispondimi della Tamaro.
Lui grugnisce, io reprimo un conato di vomito e continuo a sfogliare il libro di Marcello Fois che ho in mano.
Della Tamaro ho letto un libro solo, quello che hanno letto tutti. e o il mio cuore è pigro oppure non mi ha portato dove va di solito lui. Ma sentire la forza con cui quella tipa – vade retro! – proponeva la Tamaro, mi ha fatto pensare che i libri dicono chi sei. Le storie che ami e che ti appassionano, che ti insegnano qualcosa su quello che vivi, in qualche modo ti rappresentano. E mi è venuto in mente che ieri nel libro di Perez Reverte che sto leggendo c’era questa frase qui: non esistono due libri uguali perché non sono mai esistiti due lettori uguali.
Mi sono sentito meno strano, perché credo davvero che sapere cosa leggi o che film ti piacciono ti rappresenti. Perché è una specie di spaccato dei pensieri che ti corrono in testa. È una cosa che cerco sempre di sapre quando conosco una persona.
Per questo regalo libri solo a persone che amo profondamente.
Perché forse con quel regalo potrei regalargli qualcosa che gli resta dentro, attaccato alla pelle, per tutta la vita.
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23 luglio 2003
Esplode la vicenda dei dialer. Naturalmente c’erano già da mesi, ma nessuno diceva niente, poi all’improvviso ecco che tutto viene a galla.
Fortunatamente il mio OS mi rende immune dalla vicenda, funzionando un po’ come il Parlamento con Berlusconi.
Eppure c’è una cosa che mi fa sorridere. Amaro.
Prima era scoppiata la grana dei 144. E la Telecom li ha disabilitati. E allora avanti con l’166. Disabilitati pure quelli. Ora con internet il 709.
Telefonata alla comoda cifra di un paio di comodi euri e mezzo al minuto.
Stanno per daibilitare pure quelli.
Ma a nessuno viene in mente che basterebbe non concedere la possiblità di creare numeri che costini 2 euri e mezzo al minuto?
O forse stai a vedere che la Telecom, zitta zitta, ci guadagna…
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Lentamente scivola la tua mano su di te quel tanto che basta per trasformare ogni carezza in un gemito ti guardo accaldata contorcerti tra le lenzuola umide golosa ed implacabile forza fammi male finchè vuoi lo sai pioggia io sarò per toglierti la sete e sole salirò per asciugarti bene vento arriverò per poterti accarezzare ma se vuoi se tu vuoi tra fango e neve, fango e neve impazzirò! ti ammiro per come ti approcci a questi anni mutevoli mi piace quel tuo senso pratico la tua forza e l’ironia i cieli neri intorno a noi sono soltanto nuvole che dolcemente soffi via e niente può far male più, lo sai, lo sai pioggia io sarò per toglierti la sete e sole salirò per asciugarti bene vento arriverò per poterti accarezzare ma se vuoi se tu vuoi tra fango e neve, fango e neve impazzirò! impazzirò! finche’ pioggia diverrò per toglierti la sete, e sole io sarò per asciugarti bene, vento arriverò per poterti accarezzare ma se vuoi, se tu vuoi tra fango e neve, fango e neve impazzirò! impazzirò! e pioggia io sarò per toglierti la sete, per asciugarti bene, per poterti accarezzare ma se vuoi, se tu vuoi fino alla fine, fino alla fine del mondo vieni con me, vieni con me, vieni con me ad insegnarmi a camminare, ad insegnarmi a respirare con le mani, con le mani, con le mani con le tue mani potrei morire, sulle tue mani potrei...
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When the day is long and the night, the night is yours alone, when you're sure you've had enough of this life, well hang on.
Don't let yourself go, everybody cries and everybody hurts sometimes.
Sometimes everything is wrong. Now it's time to sing along. When your day is night alone, (hold on, hold on) if you feel like letting go, (hold on) when you think you've had too much of this life, well hang on.
Everybody hurts. Take comfort in your friends.
Everybody hurts. Don't throw your hand. Oh, no. Don't throw your hand.
If you feel like you're alone, no, no, no, you are not alone If you're on your own in this life, the days and nights are long, when you think you've had too much of this life to hang on. Well, everybody hurts sometimes, everybody cries. And everybody hurts metimes.
And everybody hurts sometimes. So, hold on, hold on. Hold on, hold on. Hold on, hold on. Hold on, hold on.
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22 luglio 2003
Forse è davvero perché è come perdere la rotta su una nave di pirati.
Una roba così. Ma mica come nei film per bambini. Proprio una vera nave e una vera banda di filibustieri, come chiamava mia nonna la gente poco per bene.
Perché è un po’ così che funziona. Funziona che ci sono dei giorni in cui sei di vedetta in cima all’albero e non si vede e terra e giorni in cui stai svaccato sotto una palma a goderti il fresco e una rista che zampilla da chissà dove.
Funziona che ti scotti sotto al sole e che ogni tanto la pelle brucia e per quelle scottature lì, mica c’è la cremina. Funziona che delle volte tiri fuoir la spada e combatti, perdio. Combatti anche se fuori smollano i cannoni e c’è sempre qualcuno pronto a farti la pelle a tradimento se non tieni la schiena dritta e il sapone in mano.
Funziona così la tua nave, piratessa. Funziona che ci sono mille pappagalli colorati che parlano e dicono delle sconcezze terribili e delle poesie troppo belle perché qualcuno le abbia sentite. Funziona che ci sono bambini che giocano a nascondino in cambusa e rubano i pezzi di pane dalle tasche dei marinai e gatti che ti saltano sulle spalle ti salutano con un inchino. Funziona che certe sere, al tramonto, qualcuno canta e che ci sono notti così lunghe che sembra che il giorno non debba mai tornare. Funziona che in fondo agli alloggi c’è una stanza chiusa a chiave in cui la luce non riesce a stare accesa, ma che in quella stanza, certi giorni, può capitare di sentire qualcuno che suona. Funziona che in quella stanza c’è buio, ma che i muri piano piano cominciano a crollare.
Funziona così, ma quando la nave è in mare aperti e c’è un po’ di vento e fila che è una bellezza allora tutto sembra possibile, anche poter prendere il timone e andare via da qualche parte.
Forse è proprio così che funziona. Così che funziona col sapore delle tue giornate fra le dita.
E dei tuoi occhi sulla pelle.
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Bossi dice: la gente non vuole la grazia. Lo capisco nei comizi..
La gente. Ma quale gente? La gente che va ai comizi della lega, forse. I famosi pastori bergamaschi, reduci dei mille, poi antimmigrazione, poi rivoluzionari in montagna. Quelli che applaudono Borghezio che pulisce i vagoni dei treni dove si sono sedute le prostitute nigeriane. Quella gente lì. Quelli che poi nel segreto dell’urna – ma sì, dai una frase fatta! – votano Lega.
Quella gente.
Sono il 4%. Il 4% del 70% che va votare.
Numricamente pari a una stima approssimata del numero di neuroni che qualcuno continua a dimostrare ogni giorno di più.
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Mi hanno chiesto oggi se secondo me Bush E Berlusconi si baciano in bocca. Credo che un po’ di lingua ci sia stata. Ma vista la moglie di Giorg Dabliù credo che il texano miri di più a una sana seduta di scambio coppie.
Arbitra Schifani.
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Penso che un caldo così non ritorni mai più.
Il micio oggi ha tentato di saltare sul cofano del maggiolone ed è volato via dalla lamiera mugolando bestemmie in gattesco da far arrossire gli aristogatti. Povero micione. Già ha il pelo nero.
Qui invece nella mia magione il tasso di umidità ha superato certe zone della Malesia. In compenso il cda di casa mia ha abolito l’uso dei ventilatori. Sembra siano consentiti i gatti a nove code e l’autoflagellazione al grido di penitenziagite!.
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21 luglio 2003
Dopo la mattinata appena trascorsa ho deciso di scrivere un manuale:
Come intabellare in html e non lasciarci la vita
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Lo scopo del bicchiere di latte preso un'ora fa era addolcire l'ingastrimento provocato dalla giornata.
Il risultato prodotto è uno stato di insonnia incomprensibile che tenterò di sedare con una ciotola da mezzo chilo di cart d'or.
Chi mi ha nascosto la nutella?
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19 luglio 2003
Non siamo un paese civile
Dietro a tutto c’è un ragionamento. E dietro alle cose apparentemente più incomprensibili c’è spesso un ragionamento ancora più profondo.
In risposta all’idea di concedere la grazia a Sofri e Bompressi – che peraltro l’ha già richiesta -, il ministro Castelli tira fuori una lista della spesa con una quarantina di nomi. Roba vecchia e già vista.
Il TG2 delle 13 commenta: così si chiuderebbe davvero la stagione degli anni di piombo.
Io non commento il TG2 perché quello che mi viene in mente è solo volgare.
Il riassunto di molte considerazioni politiche che si possono fare e che condivido sono nell’articolo di Giuseppe D’Avanzo su Repubblica di oggi.
Io qui vorrei fare solo alcune considerazioni di tipo personale.
Da cittadino. Se ancora interessano a qualcuno.
Da cittadino di Bologna. Da cittadino italiano.
Personalmente credo sia poco importante che Sofri sia innocente – e credo che lo sia – o colpevole. Mi importa il metro di giudizio con cui è stata compilata quella lista. E mi importa la coerenza della gente. Degli individui. Soprattutto se cariche istituzionali (?) come il ministro della Giustizia.
Se si stabilisce la certezza della pena come la Lega va sbandierando ai quattro venti da anni – e non solo lei – allora la Grazia è un provvedimento non giudicabile. E quindi il ministro non la può proporre in assoluto. Se si stabilisce invece che la Grazia è applicabile – e a quanto pare la lega ha cambiato idea – bisogna fare un discorso sui nomi.
E i nomi sono offensivi. I quattro balordi che hanno assaltato con un carroarmato fatto in cantina il campanile di San Marco. Alcuni esponenti del terrorismo altoatesino. Due vecchi brigatisti rossi dissociati. Chiaramente non Curcio.
E poi loro due. Francesca Mambro e Giusva Fioravanti.
Io provo vergogna e profondo schifo per chiunque abbia inserito in quella lista i loro nomi.
Provo vergogna da cittadino italiano e provo vergogna da persona pensante. Tento anche di fare un passo avanti, incontro a chi crede cose diverse dalle mie. Ci provo e vorrei riuscire a spiegarmi qui. Perché lo schifo è tanto grande che credo meriti una spiegazione.
La Mambro e Fioravanti sono stati condannati all’ergastolo come esecutori materiali della strage di Bologna. Esecutori materiali. Gente che è arrivata e ha messo una borsa piena di esplosivo nella sala d’aspetto di una stazione. Il 2 di agosto. Provate a fare un giro in una stazione, in un fine settimana di luglio o di inizio agosto. Fate un giro a metà mattina, entrate nella sala d’aspetto e ditemi cosa vedete.
E poi pèensate a cosa vuol dire fare saltare per aria un posto come quello. Pensateci.
I due si sono sempre detti innocenti. Hanno sempre detto che la bomba non l’hanno messa loro. Per motivi personali che non spiego qui, credo molto poc a questa versione. Ma ammettiamo che sia vera.
Ammettiamo che non siano stati loro – guidati da chissà chi – a far saltare per aria 83 persone in un colpo solo. Ammettiamolo.
Per informazione questo è il curriculum di Franceesca Mambro e questo quello di Giusva Fioravanti.
Sintetizzo per chi non vuole cliccare sui link.
Escludendo la strage di Bologna, la Mambro è stata condannata a 6 ergastoli per omicidio – tra cui il giudice Mario Amato – e 2 per duplice omidicio. Ha accumulato inoltre 84 anni e 8 mesi di reclusione per una ventina di rapine, detenzione illegale di armi, sequestro di persona, ricettazione, associazione sovversiva, attentato per finalità terrosistiche, occultamento di atti, violenzaa privata, resistenza, oltraggio.
Escludendo la strage di Bologna, Giusva Fioravanti è stato condannati a 6 ergastoli per omicidio – tra cui il giudice Amato – e 1 ergastolo per duplice omicidio. Ha accumulato inoltre 84 e 8 mesi di reclusione per gli stessi erati della Mambro.
Se escludiamo la strage di Bologna – 83 (ottantatre) morti – sono attribuibili alla Mabro 16 omicidi. A Fioravanti 13 omicidi.
Ripeto, partendo dall’idea che la strage di Bologna non sia opera manuale compiuta da loro.
Per questi due individui il ministro della Giustizia di un paese civile non dovrebbe non solo prendere in considerazione una domanda di grazia, ma nemmeno pensare che sia possibile una domanda di grazia.
Il ministro Castelli invece pensa di sì. Pensa che sia possibile credere che in quella stessa lista ci possano stare i serenissimi, i brigatisti rossi, Sofri e Bompressi e questi due che faccio fatica a nominare.
Pensa che individui di quel genere meritino la libertà, la grazia, la cancellazione totale della loro colpa. Facciamo finta che non abbiano fatto niente. E per farlo usa la vicenda Sofri e parla di pacificazione. Di pacificazione. E a me viene da pensare che le parole non abbiano più nessun significato.
Ognuno tragga le sue considerazioni.
Io credo che questo non sia più un paese civile.
E che molta gente dovrebbe vergognarsi.
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18 luglio 2003
La musica è troppo forte, così la abbasso.
Ascolto sempre qualcosa con le cuffiette quando scrivo di notte. Attacco ITunes e faccio girare la playlist. Da scrittura si chiama. Bella fantasia.
Ma delle volte è troppo forte. Ieri sera - stanotte? stamattina? - era troppo forte e così ho abbassato. Ma poi non la sentivo più. E c'era troppo silenzio. Non riesco a scrivere con troppo silenzio. Entra nelle parole, le appesantisce. E soprattutto mi entra dentro.
Così alzo di nuovo, ma non trovo una via di mezzo. E allora alle quattro e rotti gliela do su e scendo in giardino che si sta bene. Mi siedo sulla panca.
Sto lì un po' e penso. E lì il silenzio non è così peso. Lì fa bene, con l'eco lontano delle macchine e un paio di sfigati che smaragliano con la moto sullo stradone. Poi torno a casa.
Mi metto a letto e dormo. Ma non sogno.
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Scusa Ameri, Scusa Ameri...
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Mentre il governo presenta il DPEF – Schifani:innovativo!, saprà cos vuol dire? – il cda della Rai emana un editto, chè in tempi di sovranità limitata come questi non può essere altrimenti. Per volere del re che non si può nominare, va limitata la partecipazione ai programmi di parenti prossimi di politici. Il tutto perché nel nuovo meteo di Fazio ci sarà ospite fisso un professore dell’Università di Ferrara che di cognome fa Prodi.
Qualcuno ha fatto notare allora che la Milly Carlucci ha una sorella pirata della strada che a tempo perso fa la deputata. Ma Veneziani del cda ha arricciato il baffo: il provvedimento non è retroattivo.
Sono cose che fanno bene e che non fanno mai pensare male. Mai.
Specie in questi giorni in cui i gentiluomini di Bossi dicono che Galeazzi non può presentare la ds perché romano in una trasmissione che si svolge a Milano e il parlamento ha in approvazione a tempo di record a legge Gasparri – Schifani: innovativa! - che permetterà ai proprietari televisivi di acquistare giornali.
Proprietari televisivi dice il testo.
E a me nasce una domanda: ma perché usare il plurale?
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17 luglio 2003
Ho realizzato solo oggi che home sillabato e letto in italiano assume un significato che ricorda da vicino quello in inglese.
Ho me. Una casa è un posto dove poter essere se stessi e quindi può essere un luogo, ma anche una persona.
Mi piaceva questa cosa. Magari sono l'ultimo ad essersene accorto.
No, quello che ho fumato non lo passo. E mio...
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Il problema è che quello di bello che abbiamo sott'occhio tutti i giorni finisce per dare assuefazione.
E finisci per non accorgertene semplicemente perchè è lì, davanti agli occhi, in ogni momento.
Non voglio mai assuefarmi alle emozioni.
Non voglio chiudere gli occhi.
Voglio guardare e guardare e guardare.
E sorridere sempre quando le vedo.
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Stamattina si parla di tennis.
Non qui nel blog. A lavurer.
Si parla di tennis perchè i miei due soci mi hanno chiesto delle mie (dis)avventure tennistiche.
Così, raccontando di tornei vinti e persi, di pippistrelli colpiti da un pallonetto sul match ball a favore (e della partita poi persa) e di altre cazzate e cose pseudo serie di questa tipologia, ho scoperto che il tennis non mi manca.
Non mi manca il mondo del circolo, un posto piccolo di invidie e di rivalità costruite, gonfiate e pompate sempre per un motivo. Non mi manca la barbara semplicità della maggioranza dei soci che ho conosciuto, pronti a considerarsi superiori a te solo perchè un atleta è per definizione un minus habens. Gente che ti guarda male se la domenica in piscina ti presentavi con Kafka invece che con un libro di Francesco Salvi.
Il mondo dello sport è un mondo di gente spesso non cresciuta. Un mondo in cui mi sono trovato sempre male, ma che mi ha insegnato a lottare contro tutti e contro tutto. E a crederci sempre, anche quando sembra che non ci sarà il punto successivo. Butta la palla di là, può darsi che non torni indietro è una frase che vale sempre. Un mondo pronto a buttarti via in un decimo di secondo quando non servi semplicemente più. Un mondo in cui uno come me è sempre stato uno strano, per carattere, per interessi non capiti e spesso derisi e per tipo di gioco. Un mondo falso, alla fine. Forse assomiglia semplicemente a tanti altri mondi, ma non lo rimpiango.
Rimpiango una cosa sola. La soddisfazione di stringere la mano, alla fine di una partita vinta, a un avversario che ti sta sulle palle. Guardarlo negli occhi e spalancargli in un sorriso il Grazie di rito. Questo sì, lo rimpiango.
Ma cerco di farlo in altri modi.
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Su repubblica di questi giorni c’è un meraviglioso articolo su Guantanamo.
Guantanamo sarebe anche un posto splendido, sull’Oceano, ai caraibi. Peccato che ci sia una base militare. Nella base militarem stipati come pollame in gabbie – sì, gabbie, non è ironico – di due metri per due ci sono i prigionieri che gli americani hanno portato a casa dall’Afghanistan.
L’articolo dice che la loro situazione è migliorata. Non sono più nudi. Le gabbie sono coperte, perché si sono accorti che ai caraibi non fa fresco e al sole ci si scotta. Hanno perfino tre ore di passeggiata settimanale. Praticamente una pacchia. Il bagno – a pochi centimetri dalla testa del letto – e il lavandino con l’acqua corrente. Se va di lusso possono farsi la doccia una volta alla settimana. Col sole dei caraibi l’olezzo dev’essere simile al circo di moira orfei.
Qualcuno dirà: sono prigionieri di guerra. Se volevano un trattamento diverso potevano andare al mare anziché combattere. Forse. Io non la penso così, ma forse.
Però adesso a quegli uomini verrà fatto un processo. Militare, naturalmente. Che i signori degli Stati Uniti si sono arrogati il diritto di celebrare. Malgrado in Afghanmistan fosse una coalizione a combattere e malgrado in quelle stie – chiamiamo le cose col loro nome – ci siano cittadini di quasi trenta paesi.
Anche l’Italia.
E alla fine di quel processo, con le nuove direttive militari stabilite dopo l’11 settembre, può scattare una condanna a morte.
Senza appello. Non è previsto. Come è precisto che il processo si possa svolgere in alcune parti senza la presenza della difesa.
La base ha dovuto assumere uno psicologo a tempo pieno. In media un detenuto su tre ha tentato almeno una volta il suicidio.
Ora, io non sono un pacifista tout court, non sono uno che dice che le armi non servono a niente mai, ma sono uno che si incazza. Mi incazzo quando sento gli States criticare i diritti umani in Cina, a Cuba, in Iraq, in Iran. Mi incazzo quando sento la propaganda da quattro pugnette dei network americani – gente che fattura più del PIL del Congo – contro il trattamento subito dai soldati americani catturati in Iraq o dai Talebani.
Mi incazzo quando la più grande potenza del mondo si arroga il diritto di criticare ferocemente gli altri, di inventarsi guerre su rapporti falsi e foto aeree di paperopoli e si rifiuta di essere fiudicata, per una sorta di immunità che loro stessi si sono attribuiti.
Mi incazzo quando tutto questo dventa normale. Quando nessuno dice niente.
Quando si punta il dito contro l’arabo incivile e si fa ben di peggio.
Nei legali confini e quasi inviolati della più grande democrazia del mondo.
Probabilmente anche la più fottutamente ottusa e ipocrita.
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16 luglio 2003
here we are stuck by this river you and I underneath the sky that's ever falling down, down, down ever falling down through the day as if on an ocean waiting here always failing to remember why we came, came, came I wonder why we came you talk to me as if from a distance and I reply with impressions chosen from another time, time, time from another time
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Lo so che l'avevo già postata circa un anno fa.
Ma dopo il post di prima ci sta bene.
La costruzione di un amore spezza le vene delle mani mescola il sangue col sudore se te ne rimane la costruzione di un amore non ripaga del dolore è come un altare di sabbia in riva al mare la costruzione del mio amore mi piace guardarla salire come un grattacielo di cento piani o come un girasole ed io ci metto l'esperienza come su un albero di natale come un regalo ad una sposa un qualcosa che sta lì e che non fa male e ad ogni piano c'è un sorriso per ogni inverno da passare ad ogni piano un paradiso, da consumare dietro una porta un po' d'amore per quando non ci sarà tempo di fare l'amore per quando farai portare via la mia sola fotografia ma intanto guardo questo amore che si fa più vicino al cielo come se dopo tanto amore bastasse ancore il cielo sono io e sono qui e mi meraviglia io qui stretto fra le mie braccia eh, no son proprio io, lo specchio ha la mia faccia la fortuna di un amore come lo so che può cambiare dopo si dice: l'ho fatto per fare ma era per non morire si dice: che bello tornare alla vita che mi era sembrata finita che bello tornare a vedere e quel che è peggio è che è tutto vero perché la costruzione di un amore spezza le vene delle mani mescola il sangue col sudore se te ne rimane la costruzione di un amore non ripaga del dolore è come un altare di sabbia in riva al mare intanto guardo questo amore che si fa più vicino al cielo come se dopo tanto amore bastasse ancora il cielo e sono io, mi meraviglia stretto fra le mie braccia e no son proprio io, lo specchio ha la mia faccia son io che guardo questo amore che si fa più vicino al cielo come se dopo tanto amore bastasse e ci fosse ancora il cielo e tutto ciò mi meraviglia tanto che se finisse adesso lo so io chiederei che mi crollasse addosso, si.
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Scrivo con la finestra aperta, l’aria che scompiglia i fogli e i capelli e una sera umida che entra da Bologna di sera, fuori.
È un’estate di cambiamenti. Di carte da decifrare, per dirla alla Fossati.
C’è tutto un frullo e rifrullo di sensazioni che si rincorrono, frecce che girano in cerchio, immagini riflesse come in un gioco di specchi, lampi che illuminano spicchi di pelle in una stanza buia.
È tutta lì la mia estate che cambia la pelle come un serpente d’acqua dolce. È tutta nel fruscio delle pagine che si sfogliano e nel mio inseguire sogni che a volte sembrano visioni e certe volte hanno addirittura un profumo, due mani e uno sguardo socchiuso sulla notte. È tutta in questo tempo che sembra fermo come l’aria di notte e invece corre e delle volte ti inzuppa le mani, i ricordi e i pensieri. È tutto in una mano allungata che sente il contatto di un’altra mano e aspetta di sentire che stringe.
È un’estate che prepara qualcosa. Ma qualcosa che deve durare e che durerà. È un’estate che passa dalle lacrime, chè quando si deve alzaare la testa e guardare avanti bisogno avere gli occhi limpidi e lucidi, ma non bagnati. Un’estate melensa forse come questo post – lo so, bimba cattiva -, ma è come un gatto se,vatico che ti guarda e finalmente chissà perché, senza che capisci come sia successo, si fa prendere in braccio e accarezzare. Funziona così con molte cose. Funziona così per me con te che non capisco mai quando certe cose succedeono e come.
È un’estate che scopre la pelle e ti fa sentire il vento che striscia e struscia.
È un’estate così. Un’estate che uno come me vive a tentoni, in una stanza buia e fresca in cui ogni tanto intravedo qualcosa, seguo un profumo, un rumore, una parola sussurrata nel sonno, al telefono, quando cadono i freni e tutto sembra più morbido.
È un’estate come questa sera, come questo momento, che guardo la lucee fuori e penso all’effetto che fa sulle tue mani che si muovono e leggono, appesa a chissà quali pensieri, in un silenzio molto tuo che sa di tante cose.
Forse, presuntuosamente, anche un po’ di me.
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In preda a una visione onirica da assunzione di caffeina dopo pranzo, leggo su Repubblica che hanno segato Vergassola dalla conduzione di Buldozer. Ho già l'occhio catapultato sull'articolo, la vena del collo gonfia come un toro per la corrida, l'indignazione sociale scattata su defcon1, quando chiama un cliente e mi toglie dalla lettura.
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Zuppetta di riso amidoso e salsa di soia.
Cetriolo giavellottato per disperazione.
Piani per un futuro che verrà. Che verrà.
Un pesce sconosciuto che ha un sapore che dovrebbe renderlo famoso nei secoli.
Parole dette. Parole lette. Un sogno che ho stretto fra i denti e che non ho ancora il coraggio di dirti.
Quel sorriso stretto fra i denti che hai con gli occhi chiusi e il maggiolo che va.
Nomi da inventare e soprannomi che sembrano i nasi finti di carnevale.
Un tentativo di giubbata sventato e il portico con gli spuncioni disegnati con gli ufo.
Storie da raccontare. Tasche da scoprire e spiegare.
La firma di un tentacolo. Un bel vestito e una pelle che brilla.
Quando infili il vialetto stai sorridendo con il tuo sacchetto in mano, ragazzina. E se alla fine della serata sorridi qualcosa vorrà dire.
Di questo sono sicuro.
Come dei tuoi occhi, miciagatta.
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15 luglio 2003
Dicono che c'è un tempo per seminare e uno che hai voglia ad aspettare un tempo sognato che viene di notte e un altro di giorno teso come un lino a sventolare. C'è un tempo negato e uno segreto un tempo distante che è roba degli altri un momento che era meglio partire e quella volta che noi due era meglio parlarci. C'è un tempo perfetto per fare silenzio guardare il passaggio del sole d'estate e saper raccontare ai nostri bambini quando è l'ora muta delle fate. C'è un giorno che ci siamo perduti come smarrire un anello in un prato e c'era tutto un programma futuro che non abbiamo avverato. È tempo che sfugge, niente paura che prima o poi ci riprende perché c'è tempo, c'è tempo c'è tempo, c'è tempo per questo mare infinito di gente. Dio, è proprio tanto che piove e da un anno non torno da mezz'ora sono qui arruffato dentro una sala d'aspetto di un tram che non viene non essere gelosa di me della mia vita non essere gelosa di me non essere mai gelosa di me. C'è un tempo d'aspetto come dicevo qualcosa di buono che verrà un attimo fotografato, dipinto, segnato e quello dopo perduto via senza nemmeno voler sapere come sarebbe stata la sua fotografia. C'è un tempo bellissimo tutto sudato una stagione ribelle l'istante in cui scocca l'unica freccia che arriva alla volta celeste e trafigge le stelle è un giorno che tutta la gente si tende la mano è il medesimo istante per tutti che sarà benedetto, io credo da molto lontano è il tempo che è finalmente o quando ci si capisce un tempo in cui mi vedrai accanto a te nuovamente mano alla mano che buffi saremo se non ci avranno nemmeno avvisato. Dicono che c'è un tempo per seminare e uno più lungo per aspettare io dico che c'era un tempo sognato che bisognava sognare.
Io non so quando mi sono smarrito come un anello in un prato. Non so quando ho smarrito una parte di me e non l'ho più trovato. So che c'è davvero un tempo d'aspetto e che all'improvviso succede tutto e tutto in una volta e ti ritrovi a cambiare pagina e a volte anche libro. E che in quel momento ci sono lacrime e confusione e paura e forse una piccola anticipazione di quello che potrebbe essere il tempo di un sorriso. Ci sono pagine da svoltare in questi giorni e libri che cambieranno quando sarà di nuovo umido e freddo. E giorni nudi e lunghi come l'attesa di un momento che non sai se arriverà mai ma ci speri. E ci speri con così tanta forza e con così tanta forza che alla fine può succedere anche che arrivi.
E mentre aspetti quel tempo, quel fruscio della pagina che si volta in un mattino di sole, con la tazza con il latte davanti, mentre aspetti di leggere quella pagina e di sapere cosa c'è scritto, sai con la precisione di una goccia che quel tempo non potevi davvero non sognarlo.
Come faccio io oggi.
Oggi che c'è un tempo per sapere e per provare davvero a prendermi cura di te.
Anche con le parole. Non solo con le parole.
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14 luglio 2003
Scrivere mi fa male. Come se quello che esce su Word fosse una parte di me che mi smolla lì, su due piedi.
Occhi gonfi di sonno mancato e di un sorriso che non riesce a uscire. Pensare a certe cose forse mi fa male. Creare certe cose mi fa male. Come una mano che mi stritola.
E in certi momenti non ce la faccio proprio.
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E' la quotidianità che mi manca. I piccoli episodi di tutti i giorni che messi insieme fanno bene e fanno male, che plasmano l'umore come una statuetta di das, che ti si spingono dentro.
E' la quotidianità che fa la differenza. La mia di quotidianità la conosce una persona sola. Una sola la sente dalla mia bocca, tutta, senza filtri. Stobenestomalestoebasta. Roba così.
E' quella che fa la differenza fra le cose.
E' quella adesso che non so bene come affrontare.
E ho una fottuta paura.
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Odore di pioggia. L'aria talmente ferma che sembra dipinta.
I pensieri talmente fermi che sembrano un'eco.
Il gatto talmente infeltrito che sembra un pelouche finito sotto la doccia.
Non riesco a stare fermo.
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W l’Italia.
Fra qualche giorno dovremo decidere se dare acqua ai campi o elettricità alle case. Un bel problema. Azidént a ciaperi, diceva mia nonna.
La Ferilli si sposa e suo padre dice – e non a torto – che il più felice quel giorno sarà lo sposo.
Si sposa anche il re delle olive, principe Emanuele Filiberto, con una che fa l’attrice, ma che non farà la principessa. Sposare un Savoia non lo garantisce. Chissà se lo ha saputo prima o dopo di rimanere incinta.
A un convegno su destra e ebrei Pasquale Squiteri – regista? – dice Ma qualcuno le ha lette veramente le leggi razziali del 1938? Se un ebreo era di nazionalità italiana, in fondo, non veniva perseguitato. Tutto questo scatenamento contro Mussolini e il nostro paese io non lo sopporto proprio.... Lo lascerei volentieri chiuso in una stanza con una ventina di ex deportati. O con qualche parente. Magari con una discussione civile come la sua dichiarazione riescono a fargli cambiare idea.
Ma la perla è come sempre di Silvio. Alla conferenza stampa per la stampa – aridaje – estera non si limita ai giornalisti comunisti – in Italia l’85% - o ai magistrati comunisti. No, la situazione è importante è prestigiosa. Le perle sono, nell’ordine:
La mafia è un problema che al Nord non sentiamo particolarmente
Il 90% dei mafiosi è in carcere e quindi la mafia è sotto controllo.
Sarebbe seguita nel sillogismo la conclusione la mafia non esiste, ma non c’era più tempo.
Saputa la dichiarazione del nostro, un gruppo di spacciatori di fumo di piazza Verdi hao cominciato a cercarsi un lavoro nuovo. Se arriva sul mercato quello che si fuma lui, dicono, siamo tutti disoccupati.
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Sei piena di difetti, ma non ne cambierei nemmeno uno.
E' per questo che sono qui.
Per i tuoi difetti.
Tasti chiari e scuri con cui scrivi musica che io vorrei cantare.
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12 luglio 2003
La piazza è piena.
Sembrano tanti spilli, uno infilato di fianco all’altro, mentre l’uomo con la maglietta rossa legge il suo diario. A quardarli dall’alto forse non riusciresti a vedere il crescentone e l’unica cosa che vedresti spuntare è lo scatolone nero della sala di proiezione che manda sul grande schermo le immagini del suo film.
Perché quando Nanni ha finito di glorificare il suo monumentale ego leggendoci il diario dei mesi prima della lavorazione – e chissà se Laura Morante ha mai saputo di essere stata scelta perché dopo il provino lui è riuscito a dormire la notte – c’è il film.
Dopo di questo farò film che snetirò di menodice e non ci vuole molto per cpire che è vero. Perché La stanzaa del figlio è un film sulla morte e sulla vita. Sulla morte perché ci sono i particolari che ti fanno sentire una mancanza e un’assenza. C’è il saluto che non capisci che è l’ultimo a un corpo in una bara. C’è la voglia, il desiderio di allungare i momenti, di distendere il tempo e poi, di farlo tornare indietro. Perché se avessi fatto alora forse non sarebbe successo.
C’è l’angoscia unicaa e ultima della zincatura della cassa he chiude un capitolo come l’ultima pagina sigilla un libro.
Ci sono le cose da fare, i vestiti da scegliere, le generalità da declamare, la bara da sfogliare in un catalogo e le telefonate e le lettere che devi fare e che devi riuscire a fare senza che le parole e quello che sei ti vengano a dare una mano. Perché non sei più nulla in quei momenti.
E poi il piangere in silenzio e urlare tanto forte da non avere più voce per niente altro. O il restare zitti, chiudendo le valvole, le porte e i boccaporti, perché le lacrime sono private, private per noi e private da noi alle eprsone che ci stanno introno. Perché il dolore è solo nostro.
È un documentario sulla morte, quello di Nanni. E sulla vita. Su una morte reale, una di quelle che ha toccato le vite di tutti. e sul tentativo che abbiamo fatto di ricominciare a camminare, di ricominciare a sorridere e a cantare, ad avere un sentimento, una sensazione, qualcosa che ci muovesse dentro.
Qualcosa che ci serva a ricominciare ad andare insieme da qualche parte. Ognuno a suo modo ma insieme.
Come i tre protagonisti che alla fine camminano sulla spiaggia ognuno per la sua strada.
Ma tutti e tre in direzione del mare.
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11 luglio 2003
Il libro più venduto in Italia è quello che raccoglie le barzellette di Totti.
Ah, ecco.
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Lui scrive libri con storie terribili.
Bambini inquietanti, adulti di una pessima risma, storie dure e misteriose in una provincia romagnola nascosta dalla nebbia e dai pensieri. Quando lo guardi e gli parli, quando lo leggi in mail, quando ti dice mi sento in colpa con te - e a me vien da ridere, mda davvero - hai l'impressione di una cortesia molto simile alla timidezza che entra nelle parole e nello sguardo, nella stretta di mano che mi dà passandosi la paglia fra le dita della sinistra.
E ti viene da sorridere, ma da sorridere per qualcosa di buono che si perde nelle parole.
Questo genere di esseri umani mi sorprende in un modo che mi fa stare bene.
Perchè la semplicità è talmente rara che ritrovarla è come incontrare per strada un amico di infanzia e scoprire che non è cambiato niente da quando facevate insieme fuga dall'interrogazione di mate.
Terrò caro quel libro bianco.
Molto.
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C'è gente che ha questo concetto di me.
Diritti costituzionali: nessuno.
Obbligo di risposta al telefono se chiama: totale a qualunque ora.
Diritto di incassare stronzate e offese: totale.
Categoria di risposta attivata: col cazzo
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09 luglio 2003
Acquazzone.
Gocce pese per minuti dieci. E adesso suda la lingua in bocca. Un umido che ti si attacca alle caviglie e non ti molla più. Sono in lotta con l'etichetta di una maglietta, categoria seghe circolari dentellate.
Ma soprattutto sono in lotta con i miei pensieri. Assomigliano al tempo di questi giorni. Bloccati, sempre sul punto di esplodere mai veramente esplosi. Assomiglia al cielo che c'è adesso. Lungo e grigio come la coda di un gatto. O di una gatta forse. Lungo e grigio e con uno spicchio di azzurro sfavillante, che fa quasi male. Sono così, forse. Il colore si nasconde dove meno te lo aspetti. E forse fa anche un po' male. Perchè in mezzo al resto rischia di stonare.
Non so fare nulla contro i miei pensieri. Non li so battere, non so contrastarli e non so lasciare perdere quelle sensazioni che mi arrivano alle spalle, come scippatori in motorino.
E forse è proprio quello che fanno. Mi scippano di qualcosa. Mi tirano per i capelli e mi chiudono gli occhi e le labbra. Mi portano via e io non so doev mi portano. Non so che cosa hanno in mente. So che certe volte mi manca la forza di dire no. So ceh certe volte vorrei solo urlare e pensare e credere davvero a tutto quello che so e che dimentico così facilmente.
Il mio mondo evapora in una bolla di sapone colpita dal sole.
E tutto quello che resta quando la vedo volare, è il ricordo dei colori che riuscivo a vedere semplicemente guardandoci in mezzo.
Semplicemente perchè erano lì.
Forse ci sono anche adesso. Forse sono io che sono al buio.
E ho bisogno di luce. Adesso.
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Ci sono film per cui mi commuovo.
L'altra sera su Rai1 c'era Nuovo cinema Paradiso. Chiaramente a tarda notte che prima c'è qualcuno che deve sposarsi in diretta o fare furore o una cazzata qualsiasi.
Ho visto il film di Tornatore una marea di volte e tutte le volte la stessa scena mi fa lo stesso effetto.
Jacques Perrin nella sala buia che guarda la pizza con i baci tagliati.
Forse è il senso di qualcosa che è passato e che è destinato a non tornare. Qualcosa che hai perso e di cui puoi solo recuperare le emozioni, la nostaglia per qualcosa che poteva essere e non è stato. Qualcosa che è rimasto, dentro, come un dito fermo su una ferita dolorante.
Piango in quella scena. Solo lì.
E non so perchè.
So che mi fa capire perchè sono quello che sono e perchè le cose voglio viverle fino in fondo. Anche a costo di farmi male.
Perchè non voglio trovarmi seduto al buio a guardare con gli occhi del ricordo gli spezzoni della mia vita che non ho mai avuto il coraggio di vivere.
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07 luglio 2003
Ci sono delle sere in cui si siede in terrazza e guarda fuori. Come sta facendo adesso. Si siede e cerca di ascoltare il rumore della città, sotto, talmente vicina da poterla toccare.
Un tizio che fa jogging e fila come un treno girando intorno al parco. Lo vede infilarsi in fondo alla strada e sparire e poi tornare fuori di nuovo, come se i suoi pensieri fossero scadniti dal tempo al giro di quel corridore. A volte gli pare anche di sentire i pensieri che gli sfilano in testa. Li sente e si ricorda di quando lui va a correre, di come le sue idee e le parole che gli massaggiano i pensieri, fossero tratteggiate come il suo respiro rotto dalla corsa.
Capire non è mai stato il suo forte. Soprattutto capire se stesso. Troppi pensieri e troppo rumore di fondo, come il ronzio che ti rimane in testa dopo una notte in disco. Se fosse una trasmissione televisiva l'immagine si vedrebbe tutta annebbiata, i colori mescolati, i volti allungati e nascosti dietro una strana nebbia colorata male.
Colorata come il cielo che vede scendere con il sole che chiude i battenti.
Colorata di quelle strane tinte pastello che sono malate come lo smog che le dipinge.
Colorata come i suoi occhi che crescono verdi quando la luce cala.
Occhi che guardano fuori cercando di vedersi dentro.
E quasi sempre non ci riescono.
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Non ho ancora capito come fa, ma ci sono giorni in cui la tristezza mi si attacca alla pelle come una sanguisuga.
Oggi è uno di quei giorni.
L'ho sentita strisciare stamattina, mentre sotto casa cominciavano i soliti lavori. Dal rumore probabilmente staranno costruendo una centrale nucleare.
L'ho sentito subito, appena alzato, forse già ieri sera prima di dormire, che stava arrivando.
E così oggi mi sento un po' liquido, in attesa di qualcosa che non so cosa sia.
Mi sono strapazzato un po' il micio prima e adesso mi guarda dal divano. Hai una faccia bellissima, brutto mostro. E questi occhi qui che ho oggi non li ho per colpa tua.
Li ho per colpa di come sono fatto.
Forse dovrò anche asciugarli un po'. Magari stasera, va'...
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06 luglio 2003
La macchina cammina e una metà sembra anche averla.
Forse sono le parole e non il mare che aspetta e che in fondo vorrei che non arrivasse mai.
Forse sono le parole e le sensazioni che si mescolano in mezzo. Sono quelle la meta, in mezzo alla campagna e alle colline romagnole che vedo arrivare in fondo all’autostrada. Parole che continuano, che toccano felini e bambini e speranze che sono mie. Ma mica solo.
Poi c’è anche il sole e il parcheggio col cavallino e un vento sottile e continuo che sembra una muscia di sottofondo. Poi c’è quella strana sensazione che sento addosso e che mi fa sorridere.
Il mio bagno da solo quando i bravi bimbi non dovrebbero, con la piada ancora in transito vietato e due coche giazzate appoggiate sullo stomaco. E poi la zdora veneta che malmena senza distinzione di sesso la figlia femmina e quello maschio, l’anonima celluliti in gita premio, la più alta concentrazione di donne incinte abbronzate come zeudi araya e Federer che vince Wimbledon.
E alla fine le meduse che mi artigliano la pelle e che mi fanno incazzare.
Ma non per quel cazzo di rosore a strisce e pallini che m’hanno lasciato, ma per quello che m’hanno tolto.
Te che ti ribalti nell’acqua come un pensiero nell’aria, come quei piumini che fanno primavere e che il vento si porta chissà dove. Te che balli, ragazzina. In acqua con il corpo e fuori con los guardo.
E io che esco e anche mentre bestemmio con la pelle che mi brucia, ti guardo andare via e sorrido.
Non ho ancora smesso.
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05 luglio 2003
Per BW e non solo...
we got it together did'nt we nobody but you and me we got it together baby my first, my last, my everything and the answer to all my dreams you're my sun, my moon, my guiding star my kind of wonderful, that's what you are i know there's only, only one like you theres no way they could have made two you're you're all i'm living for your love i'll keep for evermore, you're the first my last my everything in you i've found so many things a love so new only you could bring can't you see if you, you'll make me feel this way you're like a first morning dew on a brand new day i see so many ways that i can love you till the day i die........you're my reality yet i'm lost in a dream you're the first my last my everything i know there's only, only one like you theres no way they could have made two girl you're my reality but i'm lost in a dream you're the first you're the last my everything
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04 luglio 2003
Non ce lo vedevo a chiedere scusa. E infatti adesso le cose cambiano.
Adesso è lui che vuole le scuse.
Leggo e ascolto in questi giorni e mi viene da pensare che si sia sbriciolato dell'intonaco e rollato una paglia.
O che sia caduto e abbia picchiato la testa.
O che la Veronica gli abbia messo due foglie di MaryJane nel minestrone.
Perchè non è possibile che stia succedendo.
Aristofane si sarebbe divertito.
Io qui piango. Anche dalle risate.
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Non mi vorrete davvero far credere che queste tre sono gli Angeli?
Rivoglio Farrah Fawcett....e Bosley!!!
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Ma qualcuno si è chiesto come cazzo sto io? Qualcuno si è chiesto se sono una spunga e se nella spugna ci sta ancora dell'acqua? Qualcuno si è chiesto cosa sto passando e come lo sto passando?
Sono furioso.
Incazzato.
Stanco.
Triste.
Fanculo.
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02 luglio 2003
E' ufficiale: per vincere le prossime elezioni basta lasciarlo parlare.
Il pericolo è che tra tre anni anni restino da raccogliere solo i cocci.
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Vorrei un sogno tridimensionale. Di quelli con gli spigoli morbidi, come le forme che si usano per le demo dei software di rendering. Vorrei un sogno così. Mentre fuori c’è una serata azzurra che non so come l’aria faccia aprendere quel colore lì.
Ma ce l’ha.
Ci sono tristezze che non se ne vanno e altre che si piantano in fondo e poi tornano su, come i tappi di sughero in fondo all’acqua. Che quando salgono li vedi saltare su che sembrano missili.
Adesso, mentre ho anche un po’ di mal di testa e una notte lunga e silenziosa davanti, vorrei togliermi le scarpe e camminare a piedi nudi sulla spiaggia.
Ci sarebbero gli ombrelloni chiusi come tante piccole tende indiane e qualcuno a galla dentro un mare liscio e fermo.
Ci sarebbe una lucee quasi dorata e il bagnino che tira su le carta con quelle strane reti. E il bagnino sarebbe vecchio, la pelle scotta come quei vecchi mocassini comodi che metti da vent’anni e non butti via perché così buoni non li fanno più.
E la spiaggia sarebbe tiepida e sarebbero tiepidi anche i miei pensieri, lo so. Lo so che riuscirei a non preoccuparmi e a stare tranquillo. Lo so che riuscirei a sentire qualcosa che scivola dentro e sarebbe qualcosa di caldo, come la cioccolata quando fuori fa freddo, in inverno e soffi contro il vetro per appannarlo.
Vorrei il mare adesso e camminare piano facendomi anche male con le conchiglie e poi sedermi, a raglio, da qualche parte fra la 78 e il porto.
E guardare.
Mi sembra di farlo adesso. Mi sembra di sentirlo il rumore.
Chissà se lo senti anche tu da lì.
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La donna che viene a fare le pulizie nel mio palazzo è l'anello di congiunzione mancante fra l'idiozia e l'umana indifferenza.
Nel nostro ameno condominio ci sono due ascensori. Dieci piani di morbida pietra e quindi due ascensori.
Uno dei due - alternativamente per par condicio - non funziona mai. E l'altro, dalle 8 e mezzo del mattino fin verso le 10 è occupato dalla donna delle pulizie. La signora in questione - categoria fighesse, sguardo vagamente equino - riempie la cabina con secchi, spazzole, scope, detersivi e la lascia aperta al piano in cui lavora. Bloccandola.
Il risultato è un divertente via vai per le scale di una miscela esplosiva di condomini incazzati in tenuta da lavoro o di lavoratori in ferie in canotta e bestemmianti che si chiedono cosa stia succedendo.
Ogni tanto qualcuno sorprende la troglo che pulisce il pavimento e la cazzia con tutta la ferocia di cui dispone. Ottenendo un sorriso intelligente quanto una delle tette di Emanuela Foliero.
Per la cronaca il compito del poliziotto cattivo è toccato stamattina al sottoscritto, incattivito dalla visione del mio dirimpettaio del nono in canotta Ragno azzurra, boxer e qualche chilo di panza.
L'ho guardata con sguardo feroce e lei ha sgranato gli occhi. Non ho fatto niente! ha cercato di dire. La cabina dell'ascensore aperta e ferma, dietro di lei.
E quella?
Ah, ma è per quello!
Uno di questi giorni le sguinzaglio dietro mia madre.
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01 luglio 2003
Da bimbo il primo luglio era il vero inizio delle vacanze, che allora si chiamavano ferie.
La carovana dei bergamaschi, dei toscani e dei veneti si presentava al bagno 78 il primo di luglio di tutti gli anni con una puntualità fantozziana. Noi, gli autoctoni, eravamo già lì da un paio di settimane.
E il primo luglio era una festa. Un'orda di mocciosi invadeva senza sosta la zona e la spiaggia libera circostante.
Sembra pazzesco pensarlo oggi, ma dove adesso ci sono i camerini del palco monstre di viale ceccarini, io e i maramaldi giocavamo a calcio. Contro la parte laterale delle tende facevamo la gara dei colpi di testa. Inutile dire che la porta era la tenda.
Le partite degli adulti, invece, erano sul retro della zona 80, dove adesso hanno montato la rete da volley. E c'era anche il bagnino che ci guardava giocare. Io, naturalmente, in porta. che ero il più piccino.
Sulla spiaggia libera della 78 ci stavano quelli che mia nonna chiamava i barboni. Sempre libertaria. E c'era un'aria che sapeva ancora di trasgressione.
Oggi la trasgressione di Riccione è una trasgressione di plastica, al nylon. E' una trasgressione codificata negli standard. Oggi in spiaggia si può fare la doccia calda e magara anche il massaggio. Si può giocare a racchettoni dentro le gabbie o navigare in rete.
Ma non giocare a pallone.
Oggi se cammini in viale Ceccarini vedi di tutto, ma la sensazione è di fasullo. E' tutto talmente liscio e perfetto da sembrare artefatto, come i culi di marmo o le tette rotonde e antigravitazionali delle cinquantacinquenni sulla spiaggia.
O forse è che certi anni te li ricordi.
E che a guardie e ladri come in quei mesi di luglio lì non capiterà più di giocare.
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Nuova presidenza per il piccolo Silvietto. L'UE. Che non è un'onomatopea per uno che frigna, ma l'Unione Europea.
E tanto per cominciare in un'intervista alla radio francese Europe 1 se la prende con la stampa italiana che, indovinate un po', è comunista. E con la magistratura.
Pensavo che sarebbe ora di lasciarlo urlare da solo.
Un cane che abbaia senza nessuno che può fargli nulla, finisce per diventare un lupo solitario.
E magari il branco smette di fidarsi dei suoi latrati scomposti.
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Salman Rusdhie, Shalimar il clown |
Giorgio Bocca, Noi terroristi |
The Kooks, Naive |
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