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21 febbraio 2005
È la magia di rischiare tutto per un sogno che non vede nessuno tranne te.
Ci sono film da cui fai fatica a staccarti. Ti rimangono addosso dopo che le luci si sono accese, mentre la gente esce e si infila il piumino perché fuori si gela. E non se ne vanno nemmeno quando tutto il rullo dei titoli di coda è finito e non ti resta che uscire, perché più di quello che hai visto non potrai mai vedere. Ma non se ne vanno nemmeno lì. Poi fai fatica a raccontarli, perché spesso e volentieri sono storie semplici.
Storie che parlano, appunto, di un sogno che non vede nessuno tranne te. Storie di gente che per quel sogno lascia per strada pezzi di se stesso. Perduti nel sudore che resta appeso ai vestiti, alle pelle e che è l’unica cosa che ti fa stare davvero bene. Perché fuori, oltre che quel sogno, non ti è rimasto niente. Storie di persone a metà per cui il tempo è un lungo mescolarsi di rimpianti mai digeriti e di dolori che non passano mai. Di lettere con cui recuperare rapporti sbriciolati che ti si attaccano agli occhi, lettere che tornano sempre indietro. Tutte uguali, sotto la stessa porta. Tutte uguali, in perfetto ordine dentro la stessa scatola.
Persone a metà e sogni, appunto. Come se per sognare ci fosse bisogno di essere mezzi vuoti, di aver perso un pezzo. Come se il sogno fosse proprio l’occasione di averlo indietro quel pezzo che ti manca. Una vita che ti faccia sentire importante. Che ti faccia sentire vivo. Una donna a cui regalare l’amore di padre che tua figlia non vuole più. E in fondo anche questo è un sogno.
In fondo è tutto qui. Attaccato al viso spigoloso di Hillary Swank, agli occhi lucidi aggrappati alla vita, come se fosse un avversario da mettere al tappeto al primo round, per impedire che possa farti del male. Stretto alle spalle un po’ curve di Clint Eastwood, a gesti semplici come una carezza che raccontano più di troppe parole. Infilato nel film commovente, divertente e vivo di un uomo geniale che lo dirige, lo interpreta, che ne ha composto la colonna sonora. E che ha scoperto nei suoi anni di vecchio la sensibilità, la malinconia, la tenerezza e la fragile forza che forse era costretto a nascondere nei suoi personaggi di attore, ma che ci sono nelle sue storie e si sentono in tutte. Da Bird, a Gli Spietati, Mezzanotte nel giardino del bene e del male, Mystic River e Million Dollar Baby.
Non glielo daranno l’oscar per il miglior film. Ed è il secondo anno di fila che lo meriterebbe. L’anno scorso finiva il sogno di Peter Jackson e quest’anno c’è da premiare la pomposa, retorica e inutile autocelebrazione del sogno americano che passa dalla faccia da bambino di Di Caprio e dalla mano spendisoldi di Scorsese. Il cinema americano non ama i suoi eroi quando si mettono a nudo. E magari non si accorgerà che questo film che nessuno voleva, che è costato pochissimo, girato in fretta e che Eastwood si è prodotto da solo è il secondo capolavoro in due anni di quello che probabilmente oggi è il miglior regista del mondo.
Million dollar baby di Clint Eastwood Con Hillary Swank, Clint Eastwood, Morgan Freeman Sceneggiatura di Paul Haggis Fotografia di Robert Richardson Montaggio di Joel Cox Musica di Clint Eastwood Scenografia di Richard Goddard Prodotto da Clint Eastwood, Paul Haggis 2004 137'
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