17 luglio 2003




Su repubblica di questi giorni c’è un meraviglioso articolo su Guantanamo.
Guantanamo sarebe anche un posto splendido, sull’Oceano, ai caraibi. Peccato che ci sia una base militare. Nella base militarem stipati come pollame in gabbie – sì, gabbie, non è ironico – di due metri per due ci sono i prigionieri che gli americani hanno portato a casa dall’Afghanistan.
L’articolo dice che la loro situazione è migliorata. Non sono più nudi. Le gabbie sono coperte, perché si sono accorti che ai caraibi non fa fresco e al sole ci si scotta. Hanno perfino tre ore di passeggiata settimanale. Praticamente una pacchia. Il bagno – a pochi centimetri dalla testa del letto – e il lavandino con l’acqua corrente. Se va di lusso possono farsi la doccia una volta alla settimana. Col sole dei caraibi l’olezzo dev’essere simile al circo di moira orfei.
Qualcuno dirà: sono prigionieri di guerra. Se volevano un trattamento diverso potevano andare al mare anziché combattere. Forse. Io non la penso così, ma forse.
Però adesso a quegli uomini verrà fatto un processo. Militare, naturalmente. Che i signori degli Stati Uniti si sono arrogati il diritto di celebrare. Malgrado in Afghanmistan fosse una coalizione a combattere e malgrado in quelle stie – chiamiamo le cose col loro nome – ci siano cittadini di quasi trenta paesi.
Anche l’Italia.
E alla fine di quel processo, con le nuove direttive militari stabilite dopo l’11 settembre, può scattare una condanna a morte.
Senza appello. Non è previsto. Come è precisto che il processo si possa svolgere in alcune parti senza la presenza della difesa.
La base ha dovuto assumere uno psicologo a tempo pieno. In media un detenuto su tre ha tentato almeno una volta il suicidio.
Ora, io non sono un pacifista tout court, non sono uno che dice che le armi non servono a niente mai, ma sono uno che si incazza. Mi incazzo quando sento gli States criticare i diritti umani in Cina, a Cuba, in Iraq, in Iran. Mi incazzo quando sento la propaganda da quattro pugnette dei network americani – gente che fattura più del PIL del Congo – contro il trattamento subito dai soldati americani catturati in Iraq o dai Talebani.
Mi incazzo quando la più grande potenza del mondo si arroga il diritto di criticare ferocemente gli altri, di inventarsi guerre su rapporti falsi e foto aeree di paperopoli e si rifiuta di essere fiudicata, per una sorta di immunità che loro stessi si sono attribuiti.
Mi incazzo quando tutto questo dventa normale. Quando nessuno dice niente.
Quando si punta il dito contro l’arabo incivile e si fa ben di peggio.
Nei legali confini e quasi inviolati della più grande democrazia del mondo.
Probabilmente anche la più fottutamente ottusa e ipocrita.

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