12 luglio 2003




La piazza è piena.
Sembrano tanti spilli, uno infilato di fianco all’altro, mentre l’uomo con la maglietta rossa legge il suo diario. A quardarli dall’alto forse non riusciresti a vedere il crescentone e l’unica cosa che vedresti spuntare è lo scatolone nero della sala di proiezione che manda sul grande schermo le immagini del suo film.
Perché quando Nanni ha finito di glorificare il suo monumentale ego leggendoci il diario dei mesi prima della lavorazione – e chissà se Laura Morante ha mai saputo di essere stata scelta perché dopo il provino lui è riuscito a dormire la notte – c’è il film.
Dopo di questo farò film che snetirò di menodice e non ci vuole molto per cpire che è vero. Perché La stanzaa del figlio è un film sulla morte e sulla vita. Sulla morte perché ci sono i particolari che ti fanno sentire una mancanza e un’assenza. C’è il saluto che non capisci che è l’ultimo a un corpo in una bara. C’è la voglia, il desiderio di allungare i momenti, di distendere il tempo e poi, di farlo tornare indietro. Perché se avessi fatto alora forse non sarebbe successo.
C’è l’angoscia unicaa e ultima della zincatura della cassa he chiude un capitolo come l’ultima pagina sigilla un libro.
Ci sono le cose da fare, i vestiti da scegliere, le generalità da declamare, la bara da sfogliare in un catalogo e le telefonate e le lettere che devi fare e che devi riuscire a fare senza che le parole e quello che sei ti vengano a dare una mano. Perché non sei più nulla in quei momenti.
E poi il piangere in silenzio e urlare tanto forte da non avere più voce per niente altro. O il restare zitti, chiudendo le valvole, le porte e i boccaporti, perché le lacrime sono private, private per noi e private da noi alle eprsone che ci stanno introno. Perché il dolore è solo nostro.
È un documentario sulla morte, quello di Nanni. E sulla vita. Su una morte reale, una di quelle che ha toccato le vite di tutti. e sul tentativo che abbiamo fatto di ricominciare a camminare, di ricominciare a sorridere e a cantare, ad avere un sentimento, una sensazione, qualcosa che ci muovesse dentro.
Qualcosa che ci serva a ricominciare ad andare insieme da qualche parte. Ognuno a suo modo ma insieme.
Come i tre protagonisti che alla fine camminano sulla spiaggia ognuno per la sua strada.
Ma tutti e tre in direzione del mare.

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