06 luglio 2003




La macchina cammina e una metà sembra anche averla.
Forse sono le parole e non il mare che aspetta e che in fondo vorrei che non arrivasse mai.
Forse sono le parole e le sensazioni che si mescolano in mezzo. Sono quelle la meta, in mezzo alla campagna e alle colline romagnole che vedo arrivare in fondo all’autostrada. Parole che continuano, che toccano felini e bambini e speranze che sono mie. Ma mica solo.
Poi c’è anche il sole e il parcheggio col cavallino e un vento sottile e continuo che sembra una muscia di sottofondo. Poi c’è quella strana sensazione che sento addosso e che mi fa sorridere.
Il mio bagno da solo quando i bravi bimbi non dovrebbero, con la piada ancora in transito vietato e due coche giazzate appoggiate sullo stomaco. E poi la zdora veneta che malmena senza distinzione di sesso la figlia femmina e quello maschio, l’anonima celluliti in gita premio, la più alta concentrazione di donne incinte abbronzate come zeudi araya e Federer che vince Wimbledon.
E alla fine le meduse che mi artigliano la pelle e che mi fanno incazzare.
Ma non per quel cazzo di rosore a strisce e pallini che m’hanno lasciato, ma per quello che m’hanno tolto.
Te che ti ribalti nell’acqua come un pensiero nell’aria, come quei piumini che fanno primavere e che il vento si porta chissà dove. Te che balli, ragazzina. In acqua con il corpo e fuori con los guardo.
E io che esco e anche mentre bestemmio con la pelle che mi brucia, ti guardo andare via e sorrido.
Non ho ancora smesso.

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