09 marzo 2006


La terra dei cachi


È il momento degli appelli.
E non sto parlando di quello che riguarda il bimbo rapito (?) dalle parti di Parma. Parlo di elezioni.
Eco. Poi l’intervista di Magris su Repubblica. Le risposte di Augias alle lettere, sullo stesso quotidiano. Mieli, sul Corsera, proprio oggi.
Appelli, appunto. Che condivido in pieno, sia chiaro subito.
Non sono elezioni come tutte le altre.

Poi, però, c’è la realtà.
E quella mi terrorizza. Berlusconi ha aperto la campagna elettorale da Vespa.
La sera dei foglietti, delle cose fatte e da fare. Della politica. La sera in cui ha preso nomi da tutti. Da Dalla Valle, ai sindacati, perfino da Feltri.
La sera in cui ha cambiato registro. La sera in cui ha smesso di fare politica e ha cominciato a sputare su tutti e a fare a pugni.

Sono passati alcuni mesi. Seguendo quella linea, forse la sola possibile, Forza Italia ha guadagnato (pare) quasi il 4%. Un’enormità, in politica. Più o meno un quinto del suo elettorato. Lo ha fatto a danno più dei suoi che dell’Unione, ma lo ha fatto.
In numeri sono quasi un milione e cinquecentomila persone.

Significa che un milione e mezzo di persone ha ascoltato i vaneggiamenti di sua maestà sulla malainformazione, sui processi politici, sulla televisione in mano alla sinistra, sui comunisti che comandano tutto (tirata in ballo perfino una legge dell’89, pentapartito, governo Andreotti), sui rischi per la democrazia, sulle coop rosse colluse con la camorra, sull’Unipol (che assicura Mediaset) e quant’altro e ha deciso di votarlo.
Per quello che ha detto, che ha fatto. In cui non c’era un’ombra di politica. E di verità.

Ora, non credo (mi sto toccando le palle) che gli servirà a vincere le elezioni. Forse ad evitare che qualcuno possa governare, sicuramente agevolato da una legge elettorale che prevede una scheda grande come un lato del tavolo su cui sto scrivendo.
Però serve a me per fare una riflessione.

Su quello che è diventato questo Paese dopo cinque anni di cura. Su quello che siamo ancora capaci di pensare. Sul minimo di capacità di ragionamento che dovrebbe essere parte integrante di una forma di vita umana. Sull’esito dell’accanimento terapeutico mediatico a cui siamo sottoposti quotidianamente dappertutto e a cui è impossibile sottrarsi.
Su quello che resta, appunto, in un eventuale dopo Berlusconi.

Un paese di lacchè privi di memoria, disposti a tutto pur di servire il padrone.
Un posto in cui il primo obiettivo è diventare famosi alla svelta e fare un sacco di soldi. Dove la gente come Ricucci scatena ammirazione e non indigna. Dove la forza di sfuggire alla legge, modellandola a propria immagine e somiglianza, è considerata un vanto, non una porcheria. Dove è possibile dare a qualcuno del cornuto, grattandosi le proprie corna ben salde sulla testa. Dove le radici comuni su cui siamo nati sono diventate terra di conquista, i principi comuni vecchiume da rinnovare come un brand passato di moda.
Dove la memoria storica è un fastidio che va eliminato, per piegare la realtà ai propri voleri, senza spezzarla.

Dove, appunto, un milione e mezzo di persone decide di votare sua maestà grazie a quello che fatto negli ultimi mesi. A quello che ha detto, a quello che ha dimostrato.

Mancanza di rispetto, di senso dello Stato e delle istituzioni.
Disprezzo nemmeno nascosto, nei confronti di qualunque tipo di avversario, di contraddittorio, di opinione diversa.
Dell’onestà.
E della democrazia.

“La guerra è pace, l’ignoranza è forza”, diceva quello.

Qualcuno, un mesetto fa, mi ha detto che conviene votare Berlusconi perché così si può evitare di pagare le tasse ed attendere il regolare e conveniente condono. La stessa persona, a una delle sparate di sua maestà sui magistrati comunisti, ha commentato sorridendo: “Che tipo!” con un’espressione vagamente divertita e ammirata.

Magris, su Repubblica di oggi, dice che uno dei problemi della sinistra è che non sa parlare a chi non la pensa come lei.
Ha perfettamente ragione, a rigore di logica. La politica pretende che si sappia parlare a chi la pensa diversamente. Penso che sia la maggiore utilità pratica (in campagna elettorale) di un uomo come Prodi.

Però restano le mie domande. A cui, forse, ho paura di rispondere.
Che cosa si può dire a questa gente?
Cosa posso raccontare a quel milione e mezzo, a quel quattro per cento, a chi pensa che Cristo sia morto dal freddo e che Dan Brown abbia riscritto il Nuovo testamento?
Da un’Italia come quella di oggi, è possibile guarire?

@12:30:00 AM - permalink - 3 commenti


 
 
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