11 aprile 2003




La mia è una famiglia molto anarchica.
Lo ricordavo ieri, cercando di snodare a uno sguardo che sento, i nodi di un albero genealogico piuttosto aggrovigliato.
Qualcuno la chiamerebbe famiglia allargata e sicuramente quello che mi scorre dentro è il sangue di gente che ha avuto coraggio.

La mia è una famiglia di donne, una lunga linea di discendenza femminile che si allunga da un lato fino alla mia bisnonna, che nei giorni di sole di tanto tempo fa mi portava sopra rastignano a vedere i conigli. Una famiglia di donne, incredibilmente di donne, da tutte e due i lati. Di donne dalla parte di mia madre, lei con tutte quelle sorelle, lei con una madre bambina a cui somiglia come una goccia d’acqua in una giornata di sole. Donne emiliane nel vero senso edlla parola. Donne fragili, ma fortissime. Gente che sa stare controvento e prendersi a pioggia in faccia. Donne come mia nonna I., anche oggi che si è spenta la luce e tutto quello che vede sono solo poche ombre.

Donne come mia madre che non è mai stata piccola. Mia madre con una mamma di 17 anni nel 1940 e un padre di 21 partito per la guerra mentre lei non c’era ancora. Mia madre e le sue trecce, mia madre e i suoi capelli lunghi e mia madre che piange e che ride, che urla e che dorme, oggi con lo stesso silenzioso e coraggioso orgoglio di sempre.

Donne come mia nonna G., ruvida, dura, piena di spigoli come un solido geometrico. Eppure morbida, dentro, come un batuffolo di cotone abbandonato in una giornata di pioggia. Mi manca molto la sua faccia piena di rughe. Quella faccia che si addormentava col giornale in grembo. Mi manca molto la sua pelle bruciata dal sole e le sue lacrime di ex partigiana che potevam finalmente, zigare come la bambina che non aveva mai potuto essere. Mia nonna di quaranta chili che ha lottato contro tutto e contro la morte, sputandole in faccia per sei volte, prima di dargliela su. Mia nonna e il suo nome dietro lettere d’oro in un posto in cui ho finito per andare molto spesso.

Sono le donne che hanno fatto la differenza nella mia vita. Ci sono cresciuto in mezzo. Alle mie nonne e a mia madre. E forse questo mio modo di essere viene da loro. Forse rimpiango solo di non avere preso da loro quella bellezza brillante che hanno e che avevano tutte quante. E che forse mi porto a spasso solo negli occhi.
Ho un passato e un presente di una cattiveria insospettabile a cui tu non credi, ma che c’è ancora oggi. Sono piendo di rudezze trasmesse da G. e da lei a mio padre e di finti silenzi che nascondono dolori tremendi. Sono pieno di silenziosi segreti che ho avuto il coraggio di sputare fuori solo con te.

Ma so anche che, come loro, sono capace di regalare me stesso alle persone che amo. So che come loro sono un pezzo di pietra e che non mi spezzo. So che come loro sono capace di far ridere e di aprire le bracce e che se decido di dare non lo faccio per un motivo, ma perché lo sento.
E così sono orgoglioso di quelle donne. Orgoglioso di quello che mi hanno trasmesso. E di quello che mi hanno fatto diventare.

Anche se una di loro mi manca da matti.
Ti ho sognata nonna, stanotte. Mi guardavi. E sorridevi.
t’è fat ben mia hai detto. E non so a cosa ti riferivi. O forse sì.
Toccare il tuo nome, sentirlo sotto le dita, farlo lì, in quel corridoio, in quel momento, mi ha fatto un gran bene.
Raccontare di te mi fa un gran bene, qui e soprattutto a voce, a lei. E tu lo sai. Lo so che lo sai.
Vorrei solo che potessi vedermi, oggi. In questi giorni. Adesso.
E forse, finalmente, saresti orgogliosa di me.
Come non riesco sempre a essere io.

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