13 aprile 2003




La mia prof di mate al liceo dava dei compiti astrusi, con domande astruse che spesso non capiva nemmeno lei. La mia prof di mate non si accontentava di fare mate, ma di sbizzarriva in fisica a pur anche in informatica. Eravamo classe sprimentale e quindi, giustamente, lei sperimentava. Problemi touring computabili, la macchina di Von Neumann, Pascal (l’uomo) e la pascalina, Pascal (il linguaggio). Tutto questo nel lontano 1985. A spanne.
La mia prof di mate è stata per almeno cinque anni l’individuo più odiato di tutte le galassie. Più anche si Saddam Hussein da parte di Bush.
La odiavamo perché con perversa tenacia riusciva a fare in modo che ci fottessimo con le nostre stesse mani. Un giorno abbiamo chiesto se fosse possibile avere interrogazioni programmate. Lei ci divise in tre gruppi e ci intgerrogò, in gruppo, tutte le settimane. Una volta in fisica e una volta in mate. Alla lavagna avvenivano vere e proprie depoirtazioni di gruppo, dieci persone e un gesso. Tutti insieme appassionatamente.
La mia prof di mate non dava mai una risposta a un ragazzo. Lei faceva solo domande. Il sospetto era che non sapesse le risposte, ma si sa, la prof era lei. Se tu dicevi una cosa lei subito chiedeva a un altro se fosse giusta. E diventava un tiro al piccione.
La mia prof di mate insegnava fisica come un idraulico insegnerebbe botanica. A raglio. Le interrogazioni erano meraviglie di inventiva. Credo sia stato lì che ho imparato a risolvere i quesiti della Susy. perché la luna non cade sulla terra? chiese un giorno. Per fortuna! fu la risposta. Sono ancora qui che rido. Come si fa a riconoscere in quale emisfero sei se ti svegli chiuso in una stanza che non conosci, senza finestre, senza porte e solo con un lavandino?. Beh, se mi sveglio chiuso in una stanza senza porte e finestre sapere in che emisfero è diventa decisamente un problema secondario. Per lei evidentemente non lo era.
Non so perché quella donna magra come un chiodo arrugginito mi sia venuta in mente oggi. Forse perché parlando di paura e scrivendo di paura mi viene in mente spesso che si comportasse così perché era lei a essere spaventata da noi.
Spesso la paura fa brutti scherzi.
Ongi tanto, credo, mi sarebbe piaciuto vederla sorridere. Ma davvero, con gli occhi.
Per vedere che effetto faceva. Per vedere se, anche solo per un attimo, potevo vedere com’era fatta dentro.

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