|
18 aprile 2003
Ci sono cose che mi fanno paura.
Pare che entrerà in vigore una legge che penalizza la tossicodipendenza.
Pare che le pene per chi si droga saranno amministrative. Roba tipo il ritiro della patente o del passaporto o del permesso di soggiorno - ah ecco…- e non detentive.
Pare anche che non esisterà più la istinzione fra droga pesante e droga leggera, fra lo spinello e il buco.
Mi congratulo davvero. Ma non per non capire la differenza che passa fra una canna e una pera, ma per l’idea in sé. Mi congratulo perché ci sono persone che hanno un’idea talmente elevata dei problemi della nostra società da riuscire a ridurre tutto a una sordida catalogazione di pene.
Mi congratulo perché non si capisce ancora che il problema non è stabilire una quantità minima tollerabile per l’uso personale, ma capire cosa c’è dietro al problema. O forse non volerlo capire. Perché se la droga è un business per chi la vende, succede che lo sia anche per chi la cura.
C’è differenza fra una canna e una tirata di coca. Credetemi. C’è differenza fra una canna e una tirata di eroina. La stessa differenza che c’è fra guardare dentro un caleidoscopio e fare un giro sulle montagne russe. E chi questa differenza non la capisce allora non la può curare.
Non ci si droga perché è carino. Non ci si sfinisce nel corpo e nella mente perché si ha desiderio di combattere la noia. Non funziona così. Ci sono dei limiti che non si raggiungono per curiosità, delle sensazioni che non si cercano solo per vedere che effetto fa vedere la luce del sole mentre fuori piove e fa buio.
E togliere il passaporto a un drogato o la patente o chissà cosa non serve a evitare di fargli rubare dei soldi dal portafoglio della mamma per pagare lo stronzo di spacciatore o di stare fermo a un angolo di strada ad aspettare qualcuno che gli dia un po’ di euro in cambio di una pompa. Non serve. Non serve nemmeno a far capire a uno sbarbo qualunque che cosa significa infilarsi un ago in vena o una polvere bianca nel naso o una pastiglia colorata in bocca. O a dargli la forza di venirne fuori, sudando sangue nel vero senso della parola per potersi di nuovo guardare allo specchio.
Non serve a un cazzo. I mali della società sono sottili come la luce che ti fa male agli occhi quando hai l’influenza e tagliano come le pagine dei libri di scuola, quelli nuovi, che ti ritrovi a sanguinare senza nemmeno sapere com’è successo.
Chiudere gli occhi è facile. Far finta di niente e bastonare è forse il metodo che certa gente usava in piazza, quando era giovane.
Ma non serve a un cazzo.
Demonizzare qualcosa non lo rende più spaventoso e non rende più deboli i demoni veri.
E a tutti quelli nella compagnia del nano che hanno avuto questa bella pensata di legge consiglio uno spinello di quelli giusti.
L’unico dubbio che mi viene è che egocentrici, presuntuosi e chiusi come sono non lo passerebbero mai al loro vicino per una tirata.
|
|
|
|
|
|
|
Salman Rusdhie, Shalimar il clown |
Giorgio Bocca, Noi terroristi |
The Kooks, Naive |
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|