10 novembre 2002




Sto incitando qualcuno a scrivere. Scrivere di sé, semplicemente. Perché credo che serva, che sia terapeutico. Le emozioni della vita devono venire fuori. Tutte quante. O ingorgano le tubature, lasciano calcare come traccia del loro passaggio, incorstano i filtri, tappano le arterie, le vene, come le placche di colesterolo, impediscono il passaggio come il polline sui filtri dell’aria deelle macchine. Poi non si respira, poi il sangue non fila via bene, il pensiero si rallenta, la stanchezza cresce, le parole svaniscono, le serrature si chiudono.
E un essere umano chiuso in se stesso è come una scimmietta che ha perso il suo albero e corre, per la strada e per le case, alla ricerca di una spalla su cui salire, si un tavolo su cui arrampicarsi, di un lampadario da cui dondolante. E finisce per dimenticare di quando, un giorno non lontano, aveva sentito l’aria sulla pelle, il sole sugli occhi, l’odore del bosco e un ramo da cui dondolarsi attaccato alle mani, ai piedi. Alla pelle del cuore.

Non si deve mai vivere in cattività. Ho cercato di spiegarlo al mio amico oggi, ho cercato di dirgli che le parole spalancano le gabbie e le emozioni escono, fluide e pulite. E che non c’è niente di male ad aver voglia di piangere, anche tutti i giorni, perché ci sono stati giorni in cui avevamo voglia di ridere tutti i giorni e ci saranno ancora.
Mai perdere la speranza e la voglia di lottare. Io l’avevo persa una volta e non è una cosa bella, sapete? Vira tutto al nero.
E il mondo è così fottutamente pieno di colori.
Cazzo, ce ne sono così tanti.
Così lotto e incito alla lotta, sempre.
L’ho fatto oggi.
Lo farò sempre con te. Come adesso.

@6:52:00 PM - permalink - 0 commenti


 
 
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