14 novembre 2002




Mentre SB – credo molto a malincuore – cede il giocattolo Farnesina nelle mani di Frattini, mentre fuori c’è un clima stranissimo che non so se è l’estate di San Martino con o senza le campane, mentre cerco di immaginare chi sono i 13accessi13 che sono arrivati qui digitando su google come mi fecero a me di photoshop senza che mia nonna lo sapesse che non capisco nemmeno cosa cippalippa vuol dire, mentre su New York calano le prime ombre della sera (Bonvi dixit), penso che in fondo non è stata una brutta giornata. Che è già un gran bel pensare, visti i tempi, non vi pare? Ieri in radio ho anche risentito Questa è la mia vita e su palco mi sono beccato quei pochissimi minuti di Dazeroadieci che la programmazione gratuita mi ha consentito. Mi aveva anche rpeso di nuovo la fregola dei voti, ma ho lasciato stare. Anche se una giornmata come oggi, con quella stanchezza che ti fa arrivare a sera quasi contento, merita una paletta alta.
È un periodo importante della mia vita, questo. È un periodo che potrebbe voler dire qualcosa, un momento che si è alzato in piedi e sta raccontando la sua storia. Che ci sono dei momenti così, a volte. Come quando stai a tavola, magari ci sono un paio di bocce vuote, qualche bicchiere mezzo pieno, uno strano silenzio alcoolico ronzante e qualcuno comincia a parlare.
Ecco, succede così. È successo così.
Sta parlando. Qualcosa sta parlando e mi sta raccontando una storia, che certi momenti della vita hanno sempre una storia dietro, come i cereali del kinder.
È una storia bella quella che sta dietro a questo racconto. Sa di pane e di vino frizzante. E di risate e anche di silenzi lunghi e affilati o morbidi e freschi. Sa di cose vere rusteghe e ruspanti, di quelle che arrotano la s e si incazzano anche un po’ come i nonni che parlano di calcio in via Orefici davanti a Otello e in piazza Maggiore davanti a tutti.
Lo so, lo capisco, è un modo un po’ strano di dirti che ti voglio bene, questo qui. È un modo singolare e assurdo, liquido e un po’ burlescamente deforme, come uno degli elefanti di Dalì. Ma le parole sono così, prendo il giro, frullano, si angolano e si deformano, come le punizioni di Del Piero o le note della chitarra di Santana. E anche le emozioni prendo effetti, ti tagliano fuori, come la prima mancina di McEnroe che col cazzo che la prendevi. Anche le emozioni hanno il loro sette, il loro incrocio dei pali dove andare a finire, dove trovare la loro collocazione, il posto dove devono stare, come fossero create apposta.
Credo che funzioni così per tutte le cose che mi riguardano. Non seguono percorsi semplici, non vanno dritto per dritto. Girano, curvano, sono come sono.
Sono contento di guardare il tuo buffo modo di muoverti nel mondo.
Sono contento di sentirlo sulla pelle e sulle vene del collo.
Sono contento di sentirlo sulle mani.
Sono contento di averti addosso così tanto.
Dentro, da qualche parte. Come un tesoro da conservare, da coccolare, di cui prendersi cura sempre, in ogni modo possibile. Senza risparmiarsi mai.

@12:26:00 AM - permalink - 0 commenti


 
 
Qui&Ora
Salman Rusdhie, Shalimar il clown
Giorgio Bocca, Noi terroristi
The Kooks, Naive
 
Blog
 
Letto
 
Visto
 
Letto (prima)
 
Visto (prima)
 
 


This page is powered by Blogger. Isn't yours?