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19 maggio 2002
Un Foro Sereno
Narra un famoso cronista dell'epoca che qualche migliaio di anni fa un uomo piccino piccò riuscì ad avere la meglio su un tremendo gigante solo con il mulinare della sua astuzia e l'aiuto di una misera fionda. Pare che il gigante - Golia, per l'appunto - non abbia gradito lo scherzo propostogli e da lì in poi la tecnica non abbia avuto molte ripetizioni pratiche.
L'ennesima riprova si è avuta oggi al foro Italico.
Justine Henin e Serena Williams. Solitamente i nomi di battesimo vogliono dire qualcosa e io che ne porto uno molto poco probabile so cosa vuol dire. Però qui siamo all'apoteosi dell'eccesso. La piccola e minuscola Henin, che da lontano potresti mirabilmente scambiare per un ragazzino di una quindicina d'anni, non fosse che ora porta una lunga coda fuori dal cappellino d'ordinanza, porta a spasso il nome lussurioso e concupiscente dell'eroina del marquis De Sade, di cui non possiede non dico le physique du role, ma tantomeno una qualche forma di viziosità negli occhi. Che si sa, sono lo specchio dell'anima. Dall'altra banda la Williams si chiama Serena e non so in cosa si possa trovare in una simile energumena una briciola di serenità. Dalle nostre parti si dice:s' at ciapa at'stacca vi la testa e credo che sia vero. Tremo di terrore ogni volta che in recupero si avvicina a un giudice di linea e sarei tremebondo ancora di più se fossi al posto di uno di quei malcapitati. Se Justine accarezza la palla, la sfiora come solo chi ha avuto in sorte dalla vita la grazia dei segreti del gioco, Serena malmena la piccola boccia gialla come fosse un punching ball, la ghermisce e la distrugge cercando sempre e comunque una soluzione di forza. Si finisce per avere pena di quell'oggetto inanimato di feltro costretto a subire una simile violenza. La partita di ieri con quell'altro bisonte di Jennifer Capriati - peraltro di molto più dotata sia di savoir faire che di mano tennistica - è parsa per un lungo periodo una partita a schiaffoni, una di quelle risse da osteria numero 1 di cui si vocifera nelle leggende dei marinai. Comunque oggi - dolori fisici di entrambe le contendenti a parte - il bisonte ha prevalso sull'agnellino, la brutalità sull'arte, la forza fisica di un autoarticolato sulla grazia e la leggerezza di una piccola vettura sportiva. Serena Williams mi ricorda uno di quei tori da corrida spagnola, uno di quelli che sbuffano continuamente, che cercano una muleta su cui abbattersi con forza e vigore e di cui lasciano, dopo il passaggio, semplicemente una traccia sul terreno. Quando la ramata non l'attira con il suo canto inebriante, assume la prepotenza di uno sciame di cavallette, la brutalità di un attacco dei black blocs, la furia devastatrice di un tornado tropicale. Cosa poteva fare la povera Justine, se non essere, come il nome d'altronde la costringe, una vittima sacrificale di cotal lussuria? E così, eliminata la filuccona Venus da un presunto dolore al polso, annientata la fragile Hingis dalle caviglie troppo a lungo costrette a rincorrere bordate, non resta che sperare che la piccola Justine trovi qualche accorgimento tattico, qualche piccolo e breve chilo di muscoli, che le consentano, lei mano benedetta e piccolo vitello, di fare a cornate con questo muro di marmo con cosce più simili a colonne doriche che ai cancelli segreti della virtù di una giovane donna.
Altrimenti, nel prossimo futuro, non resta che sperare in una prossima incarnazione di Davide che consenta a uno come me che ama il tennis quasi come un quadro di Dalì, di vedere ancora Golia arrancare di fronte a qualcuno dotato del talento più puro, della gioia del gioco, di traiettorie improvvise e essenziali su cui anche il più forte dei bovini non ha possibilità di replica.
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